PENSIERI, ALIENAZIONE E MUSICA

(diario personale di una giornata chiuso in casa per il COVID, metà aprile 2020)



40 passi. Ci sono 40 passi tra la porta di ingresso e quella del bagno.

Questo è il percorso che faccio tutti i giorni per almeno una buona mezz’ora, e forse più.

Avanti e indietro, automatico, inesorabile. Devo farlo, in questi mesi di prigionia, per non

perdere l’uso delle gambe e della mente. Per muovermi. Giornate senza un inizio ne

una fine.


Ed è alienante.


Avanti e indietro. Come un pendolo.

Sulla porta di ingresso ho attaccato un foglio ed una matita. Ogni percorso una

stanghetta, ogni 10 stanghette un segno in diagonale che le cancella. Come nella

iconografia carceraria.

Ho la fortuna di avere una casa grande. Ma il vecchio proprietario, un regista famoso,

diede la ristrutturazione in mano ad un architetto che sicuramente in gioventù aveva

fatto abuso di sostanze allucinogene e ha creato questa serie di open space contigui;

niente porte, solo archi. Stanza dopo stanza.

40 passi avanti, 40 passi indietro. Ogni giorno, ogni maledetto giorno.

E’ più di un mese che sono chiuso in casa, è sempre più dura sopportare; e la carogna sta salendo. Inesorabile.


23… 24… 25…


Mia moglie è in campagna, beata lei. Abbiamo una casetta in mezzo al verde ed ai

boschi sulle colline a pochi chilometri dalla città, il nostro “buen retiro”. Ora lì è esplosa

la primavera con i suoi odori, colori accesi, ronzii, tepori; ecco, questa è la cosa che mi

manca di più. In assoluto. Adoro la primavera, per me la stagione più bella, quella che

mi fa rinascere e che dà un senso a tutto. Anche l’autunno mi piace molto, pure lui con i

suoi profumi, colori di acquerello; un lungo sbadiglio prima di addormentarsi. Tutto

mutevole.

Qui invece c’è sempre lo stesso quadro: le finestre con la facciata del palazzo di fronte,

immobile, amorfo. E la piazza vuota. Deprivazione sensoriale. Solo quelli che stanno in

galera, in isolamento, possono provare una tale assenza; quelli in cella, in qualche

modo si possono toccare, parlare, interagire, litigare, stare insieme. E’ già qualcosa.


12… 13… 14…


Resistere. Devo tenere duro. Non devo cedere.

Quando faccio questi percorsi da carcerato in ora d’aria, ascolto buona musica in cuffia.

Per non disturbare. Un contatto intimo, solo mio; con la mia musica preferita.

Passo giornate, e spesso nottate, a cercare buona musica e fare una mia privatissima

compilation. Un duro, ma piacevolissimo lavoro.

E’ tutta la vita che ascolto musica, la amo incondizionatamente, fa parte di me. Fin da

bambino.

Mi ha salvato la vita prima, ora mi dà la forza di andare avanti. Sempre alla ricerca di

una melodia, di parole, di poesie, di ritmi che mi diano emozioni e mi riempiono il cuore

e l’anima di gioia. Come si diceva una volta: good vibrations. Ed è vero. Ogni nota, ogni

accordo, ogni melodia toccano le mie corde e le fanno vibrare di piacere.


38… 39… 40…


un’altra barretta. Dietrofront. Si riparte.


Alienante


La musica, che meravigliosa forma d’arte!

Non sono credente, anzi non credo in niente e nessuno; ma se fossi credente direi che

gli angeli esistono e sono i musicisti, i cantanti, chi lavora in studio di registrazione, chi

produce. Un coro di angeli che fanno di tutto per darmi pace e gioia. Emozioni pure

come l’acqua di un ruscello di montagna, o come il mare agitato dal maestrale. Vorrei

essere come loro, ma il fare musica mi è stato negato e per me è forse l’unico rimpianto

della mia vita. Storie vecchie, dolorose e tristi. In compenso ne sono diventato un

appassionato e profondo ascoltatore. In ogni sua sfumatura. E comunque

continuo a non credere.


1… 2… 3…


1440 KHz sulle onde medie. Ancora mi ricordo la frequenza. Radio Luxembourg, la mia

passione per la musica nasce da lì. 1962 o giù di li. Ero un bambino di 6 anni e con mia

sorella, per sopravvivere agli orrori familiari, ci nascondevamo nel mio letto sotto le

coperte. Avevo una radiolina a transistor ed avevo scoperto Radio Luxembourg. Ero già

affascinato dalla musica e la sera accendevo la radiolina a volume basso sennò ci

sentivano e la magia si sarebbe dissolta. Quando si riusciva a sentire, ascoltavamo

musica, gli ultimi successi, i gruppi, il rock, il blues, il jazz. Un mondo sconosciuto in

Italia. Tutto da scoprire. Per motivi tecnici la musica andava e veniva, come un’ onda.

Trasmettevano da molto lontano, dall’Inghilterra, o da una piccola nave nelle acque

internazionali a sud dell’Inghilterra,un altro mondo allora. E quando calava il volume

tornava la paura ed il dolore. Magica radiolina! E’ un ricordo di splendore adamantino.

Oggi è tutto diverso. C’è sovrabbondanza di tutto ed il tutto è a portata di mano, basta

un click. Mica il pionierismo di allora.


38… 39… 40…


Pipì. Mi giro. Riparto dalla porta del bagno.


Alienante


Sono in soggiorno, mi fermo un attimo davanti alla finestra che dà sulla piazza. In giro

non c’è nessuno. Traffico inesistente. Un silenzio assoluto. Ma dove sono tutti? Cosa

sta succedendo? Emotivamente e socialmente tutto questo macello avrà conseguenze

pesantissime sulle persone, non ho dubbi. Sono in pochi che l’hanno capito. Per non

parlare del disastro economico. Tutto fermo. Solo io vado avanti e indietro, un inutile

moto perpetuo. Cosa succede dietro quelle finestre? Quando accadrà che tutti

apriranno le finestre e lanceranno il loro urlo lacerante di rabbia, tutti insieme in una

unica, devastante valanga sonora?

Mi riprendo e riparto.


19… 20… 21…


Adesso capisco cosa vuol dire sentirsi in gabbia.

Molti, molti anni fa sono andato allo zoo della mia città a fare un servizio fotografico

personale sulla pazzia che colpiva gli animali in gabbia. Ho sempre odiato gli zoo come

i circhi e me ne sono sempre tenuto alla larga, la sofferenza degli animali mi devasta;

decisamente meno quella dei bipedi umani. Ho cominciato a scattare foto, con un

groppo in gola che mi toglieva il respiro. Ma dove ho pianto è stato davanti alla gabbia

di una tigre: continuava a girare in tondo in questa microscopica gabbia, ogni tanto si

fermava e mordeva le sbarre. Le mordeva così forte che le sanguinava la bocca. Anche

adesso che scrivo, al solo ricordo mi viene da piangere. Le scattai un'unica foto, mentre

mordeva le sbarre. Ce l’ho ancora quella diapositiva, ma l’ho nascosta. L’ho nascosta

da qualche parte, dove so che non la troverò mai più. Non la voglio più vedere. Mai più,

troppo dolore.

Ora io sono quella tigre.


26… 27...28…


La mia playlist va avanti. Un brano dopo l’altro. Un passo dopo l’altro.

La mia musica, medicina della mia anima ormai vecchia, sgretolata, corrotta.

Passa dalle orecchie a tutto il corpo, dandomi calore, lenendo il dolore, dissolvendo le

preoccupazioni.

Adesso è partita “The Rain Song” dei Led Zeppelin nel ‘73. Avevo 15 anni. Una ballata

che mi tolse il fiato per la sua armonia, per la sua dolcezza. La canzone della pioggia…

ma come vi è venuta in mente, miei adorati Robert e Jimmy? Già allora un po’ di inglese

lo sapevo, per lo più scolastico; ma anche appreso dalle traduzioni che facevo dei testi

scritti nelle copertine degli LP. Quante ore passate col dizionario in mano, scoprendo

testi bellissimi, intimi. Frasi che mi hanno segnato, che mi hanno colpito lasciando un

segno indelebile.

“ È la primavera del mio amore

La seconda stagione che sto conoscendo

Tu sei luce del sole nella mia crescita

Sentivo cosi poco calore prima

Non è difficile farmi sentire ardente

Ho guardato il fuoco crescere lentamente… “


Continua il mio cammino. Almeno potessi essere fuori, nei vicoli. Avrebbe più senso.

Le cuffie mi inondano con “In My Life” dei Beatles. Brano bellissimo del ‘65.

Avevo 9 anni. Non sapevo ancora bene l’inglese ma adoravo quella canzone; forse era un segno. Col passare degli anni ho tradotto il testo e mi ha colpito così tanto che la voglio come colonna sonora quando morirò. Perchè mi rappresenta. Sono tante le cover fatte da allora, ma quella che più sento mia è quella eseguita da Diana Krall: più lenta, più vera, malinconica, una dolce carezza all’anima.


“ Ci sono luoghi che ricorderò

Per tutta la vita, anche se qualcuno è cambiato

Alcuni per sempre, non per il meglio.

Qualcuno se n'è andato, qualcuno è restato

Tutti questi luoghi hanno avuto un loro momento

Con amanti e amici, che riesco ancora a ricordare

Alcuni sono morti, altri sono vivi

Nella mia vita, li ho amati tutti…. “


Grazie a tutti voi! Gli anni 60, 70, 80, 90… che musica meravigliosa. Un concentrato,

tutto in quel periodo. Ed io l’ho attraversato assorbendo tutto: brani potenti, allegri, tristi,

arrabbiati, dolci, intensi, malinconici, dolorosi, strazianti. Molti di loro sono già morti e tra

poco anche gli altri se ne andranno. Ma hanno lasciato un segno indelebile, quelli della

mia generazione, gli anni 50, ne sanno qualcosa e mi capiscono. Oggi non più, oggi è

un altro oggi.


17… 18… 19…


Comincio ad essere un po’ stanco. Sono al quinto brano. Ormai cammino come un

automa. Un robot a molla dove la carica sta finendo.


Alienante


Conosco il percorso a memoria ormai. Provo a farlo ad occhi chiusi, diamogli un senso,

un brivido. Conto i passi, qui so che devo girare, qualche passo ancora... attento che

qui c’è il tavolino. Ce l’ho fatta, torno indietro.

Passo dopo passo. Ed i pensieri si accumulano nella mente, niente che abbia un senso;

sono solo sensazioni. Questa vita senza stimoli, monocorde, vegetativa, questa

assenza sensoriale sta dando dei risultati alquanto bizzarri: la notte faccio dei sogni

incredibili, dei veri film multisensoriali. Colori, odori, sensazioni fisiche. Storie astruse,

allucinogene, lisergiche. Molti di questi sogni sono come delle serie televisive, puntata

dopo puntata con un loro senso logico se mai le storie visionarie possano averne. Ed in

quasi tutte c’è il mare, con il suo profumo di salsedine ed io che passeggio sul

bagnasciuga con i piedi nell’acqua e tutto intorno che si modifica come in un enorme

caleidoscopio. Sarà che io ho sempre amato il mare e mai come adesso mi sta

mancando. L’assenza di sogni porta altri sogni.

A volte però sono sogni colorati di sfumature di grigio… o privi di colore , come una

tastiera di pianoforte con tutti i tasti bianchi. Alienante.

Straniante


Alienante


33… 34… 35…


Quinto brano. Avanti e indietro. Da est verso sud, poi ad ovest per arrivare a nord.

Ho due gatte in casa: una molto vecchia e totalmente sorda, ormai alla fine dei suoi

giorni. L’altra più giovane che nutre un amore sconfinato nei miei confronti. Cammino

davanti a loro che stanno ferme ad osservarmi incuriosite sullo schienale del divano. La

giovane mi guarda con la coda a punto interrogativo. La vecchia ogni tanto tira un

miagolio sgraziato per chiamarmi, non si sente quindi miagola tutta scordata. Due

coccole, anche di più, perché vi amo, esseri viventi puri ed incontaminati.

La vecchia mi fa pensare alla fragilità delle nostre vite. Ti manca poco amore mio, poi

sarà uno strazio. Un altra brutta cicatrice sul mio cuore dove sopra ce n’è già un ricamo.


19… 20… 21…


Un passo dopo l’altro. Mi fermo in cucina che ho sete. Sto sudando. Bevo guardando

l’orologio appeso al muro, la fragilità delle nostre vite in un quadrante. Un quadrante

bianco con solo un’ora: dalle dodici all’una. Sono nato che era mezzogiorno. Adesso

sono a mezzogiorno e tre quarti. Arrivato all’una poi non c’è più niente. Quadrante

vuoto, bianco. E la lancetta dei secondi, bastarda, inesorabile, va avanti. Cazzo.

Vorrei saper dipingere per colorare questo ritratto del tempo, ma ho solo una tavolozza

vuota ed un pennello senza peli.

E la mia vita comunque va avanti, come questa inutile camminata. Ho smarrito dei

pezzi, ma non ricordo più dove li ho persi. O se qualcuno li ha trovati ma non me li ha

mai restituiti. E non posso più tornare indietro, sempre avanti, passo dopo passo. Porta

del bagno, porta di ingresso. Almeno il bilancio finale è decisamente positivo.


7… 8...9…


Ho approfittato di questi inutili giorni per fare pulizia nella mia vita. Era necessario.

Pulizie pasquali. Troppa polvere. Ho tenuto solo gli amici più cari, quelli fraterni, quelli

della vita 1.0. Quei pochi con cui sono cresciuto da ragazzo, insostituibili, che mi hanno

salvato dall’oblio e dato la forza di resistere. Ho tenuto poi gli amici, che posso contare

sulle dita d’una mano, con cui ho vissuto la mia vita 2.0, la 3.0 ed ora la 4.0, solide

colonne portanti che tengono ancora in piedi questo vecchio, traballante, palazzo di carne degli anni 50.


Ho fatto pulizia, Cancellato numeri, eliminato persone passate al setaccio fine; erano

solo grumi, molti grumi. Alla fine è rimasta poca roba, ma buona.

Mai stato sui social, che detesto, solo una serie di persone e di gruppi e parenti su

Whatsapp depennati, azzerati. Puff!

Sempre stato un asociale, nel senso che sto bene da solo. Con una vena di misantropia

accentuata da questo squallido periodo.

Sto bene solo con la mia amata moglie ed i miei adorati gatti. Parlo poco, molto poco.

Ma so ascoltare e quello che ho ascoltato in questo mese mi ha messo in mano la

gomma per cancellare tanto: via la tv, via il cell, via i giornali, via il genere umano. Una

vera rottura di coglioni. Argomentazioni monocordi infarcite di ziggurat di blablabla a

senso unico. Basta, via, cancellare, finish, stop! Ho recuperato un sacco di pagine

bianche su cui riscrivere la mia storia.


20… 21… 22…


Porta del bagno, ingresso, e ritorno, step by step. Come il ciclo dell’acqua.

Comincio ad essere veramente stanco.

Quanti Km avrò fatto? Ieri ne ho fatti 3 e qualcosa in più, ma oggi sono andato oltre.

Forse perchè la musica, in sequenza casuale, era particolarmente bella. Il lettore

musicale ha capito il mio stato d’animo. Ha cercato di tirarmi su il morale proponendo

una serie di blues strazianti.

Quanto mi piace il blues!

Quello elettrico, quello dei grandi chitarristi, con quegli accordi in settima e nona che mi fanno palpitare il cuore. E quegli assoli di chitarra che mi esaltano l’anima. Bellissimi. Quanto mi piace il blues!

Anche il jazz mi piace da morire. Specialmente quello cantato; cantato da voci

femminili, dalle voci un po’ scure. Le voci delle cantanti di colore, mi fanno impazzire.

Forse perchè, sia il blues che il jazz, nascono dai campi di cotone. Contrasto tra bianco

e nero. Sofferenza e resilienza. Voci incredibili, che mi emozionano fino alle lacrime. O

forse qualche lontana reminiscenza, ormai persa nelle nebbie della vita, della mia tata

Tina. Da bambino, mi accudiva più lei di quella palpabile assenza di mia madre. Mi

coccolava, mi accarezzava, mi baciava conscia del mio baratro affettivo, e ricordo come

se fosse adesso quando mi faceva il bagno, che mi cantava con la sua voce roca ma

bellissima le canzoni che le piacevano. Non era una bella donna, piuttosto sgraziata,

ma che voce; e quanto amore. Cantava sempre, tante canzoni: una fra queste, che

eseguiva spesso, era “Estate” di Bruno Martino, canzone che amo con tenerezza

ancora oggi.

Che tracce che lascia la musica in me, incredibile. Poi vennero i Beatles ed il mondo,

per me, non fu più lo stesso. Posso dire che sono stato amato dalla musica quasi

quanto l’ho amata io.


33… 34… 35… 36… 37… 38… 39… 40…


Basta. Adesso basta. Ho fatto circa 4 chilometri. Sono decisamente stanco e mi fa male

un ginocchio. La natura non ci pensa due volte a ricordarti che hai un’ età. In molti

fanno finta di niente, vogliono sempre sentirsi giovani, che ipocriti! Io no, io ascolto la

natura, e le sono grato: mi ha dato una vita piena, complicata, incasinata, con gioie e

dolori, amori, amici, tante belle cose e tante cose da dimenticare. Insomma, una vita.

Neanche a farlo apposta in cuffia parte il brano “When The Music’s Over” dei Doors.

Che caso!

“Quando la musica è finita

Quando la musica è finita

Quando la musica è finita

Spegni le luci

Spegni le luci

Spegni le luci

Perché la musica è la vostra speciale amica

Danzate sul fuoco come lei richiede

La musica è la vostra unica amica

Fino alla fine

Fino alla fine

Fino alla fine”


Per oggi la camminata con i miei pensieri bislacchi e la mia musica può bastare. E’ ora

di farmi un buon caffè. L’alienazione però rimane.

Tra qualche minuto, attraverso la porta finestra del balconcino dietro casa, apparirà il

sole. Per circa tre ore mi posso sedere in quello spicchio di calda gioia, e scaldare la

mia vecchia e ferita anima al calore di un magnifico sole primaverile. Sempre con la mia

musica preferita di sottofondo. E libererò la mia mente.

Per un po’.

Forse.





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