Gustav

 Anno 2427. Stazione mineraria spaziale internazionale Pangea in orbita geostazionaria.

Qui vengono trattati i minerali estratti dalle rocce recuperate dagli asteroidi del sistema solare. Con il procedimento Blankov-Bartoli sfruttando il vuoto e l’assenza di gravità e altri trucchi da scienziati, si ricavano metalli e sostanze purissime che vengono poi portate sulla Terra per la lavorazione finale.


E’ mattina, per quanto possa essere considerato mattino in una stazione spaziale. In lontananza rumori, tonfi, scricchiolli. Alcuni membri dell’equipaggio sono seduti nell’area mensa per la colazione.

“Vieni Jesus, siediti accanto a me. Ho preparato il caffè e le brioches calde”

“Madonna che sonno… ciao Tania, ciao Liam, Mark, ciao Capuozzo. Spostati un po’, grazie. Che profumino…”

 “Mark hai visto se quelli del turno notturno hanno terminato le procedure?”

“Si Liam, ho controllato prima di venire qui, tutto a posto, il minerale nuovo è arrivato al dock 17. Qualcuno mi passa lo zucchero?”

“Eccolo. Capuozzo, hai controllato che l’ultimo carico di astro minerale sia in fase di lavorazione? Abbiamo tempi stretti e il cargo-shuttle verrà a caricare i metalli fra due giorni”

“No Liam, ieri ero di turno al convogliatore. Se ne stava occupando quel fetuso di Gustav, è lui il capo tecnico no?”

“Dato che qui non c’è qualcuno mi sa dire dove è finito? qualcuno l’ha visto?”

Nessuna risposta dai presenti.

“Cazzo, in questo ammasso di ferraglia nessuno sa mai niente! adesso lo vado a cercare e se lo trovo giuro che lo infilo nel trituratore. Sta oltrepassando i limiti della mia pazienza!”


Liam furibondo abbandona la colazione e si incammina nei corridoi della base cercando Gustav.


….ma dove si è infilato quel vecchio bestione del cazzo, sempre rogne con lui, che carattere di merda, norvegese dei miei coglioni. I vichinghi, si… ma vaffanculo! Passa il tempo a litigare con tutti, sempre incazzato come un toro. Non capisco perché lo abbiano mandato quassù, sarà anche un bravo tecnico con anni di esperienza ma, cazzo, sembra sempre una bomba a mano innescata. Se non fosse così grosso e brutto lo prenderei a cazzotti. La settimana scorsa se non gli toglievano da sotto le mani Willy lo avrebbe fatto a pezzi, solo perchè quel coglione gli aveva fatto una battuta sbagliata nel momento sbagliato riguardo al suo aspetto. E in quattro abbiamo fatto fatica a tirarlo via, sembrava posseduto dal demonio. E Willy ora è in infermeria mezzo morto. Vaffanculo, già siamo a corto di personale.  Appena rientriamo sulla Terra gli faranno un bel procedimento disciplinare. E non si trova, ma dove cazzo è finito, bastardo norvegese, ho guardato dappertutto, mi rimane solo la cupola….


La cupola è all’estremità della base, più che una cupola è un enorme oblò puntato verso la terra con attrezzature tecniche, fotografiche e di ripresa. A parte le fievoli luci dei led e dei piccoli schermi delle apparecchiature l’ambiente è nel buio. Di fronte alla cupola un sedile dove, seduto ed immobile, Gustav che fissa la Terra. Sembra finta, una immensa e perfetta sfera blu, verde, ocra, e bianco che occupa quasi tutta la visuale della cupola. E la illumina tutta.


“Gustav, cazzone, finalmente! è mezz'ora che ti cerchiamo. Perché sei qui? Che hai, ti senti bene?”

“.........”

"Rispondi!"

“.........”

Liam tocca una spalla di Gustav

“Gustav rispondi porca puttana, che ti succede…”

Al tocco della mano il grosso norvegese ha come un sussulto e poi lentamente si gira verso Liam. In quel volto che ha visto più cazzotti che carezze, con la barba che cerca inutilmente di nascondere le cicatrici, un naso che sembra disegnato da Picasso, si perdono due occhi azzurri come gli oceani che ha di fronte da cui scendono silenziose e calde lacrime che si perdono tra le rughe di quel volto da vecchio guerriero e con la voce rotta dall’emozione risponde

“guarda ........  è …… bellissima …”




Elogio alla Semplicità


Questa volta non scriverò un mio racconto ma ne riporterò uno, bellissimo, di John Lane tratto dal suo libro "Elogio della Semplicità" che, incredibilmente, è molto simile alla mia concezione di vita.


Un uomo d'affari vide con fastidio che il pescatore, sdraiato accanto alla propria barca, fumava tranquillamente la pipa.
    "Perché non stai pescando?" domandò l'uomo d'affari.
    "Perché ho già pescato abbastanza pesce per tutto il giorno"
    "Perché non ne peschi ancora?"
    "E cosa ne farei?"
    "Guadagneresti più soldi. Allora potresti avere un motore da attaccare alla barca per andare al largo e pescare più pesci. Così potresti avere più denaro per acquistare una rete di nailon, e avendo più pesca avresti più denaro. Presto avresti tanto denaro da poterti comprare due barche o addirittura una flotta. Allora potresti essere ricco come me."
    "E a quel punto cosa farei?"
    "Potresti rilassarti e goderti la vita."
    "E cosa credi che stia facendo ora?"

Ecco, per me in queste poche righe c'è il succo della vita.








MONICA (1958 - 2012)



Intorno a me solo arido deserto di ombre,

i miei occhi asciutti come questo caldo vento.

Le parole non dette ed il tempo che è passato,

ricordi lontani, nascosti, evitati,

di una vita che è una clessidra,

come questa sabbia che fugge dalle mie dita.

Adesso ho deciso di scriverti una lettera

con le parole che ho dovuto scavare.

L'ho consegnata ad una nuvola

che prima o poi, vedrai, ti troverà

e leggendotela si aprirà finalmente

in un silenzioso pianto.

Tutte le mie lacrime nella pioggia.



di tutte le ferite che mi hanno lasciato delle cicatrici, questa è la più brutta

POLITICAMENTE SCORRETTO



Adesso posso dirlo: mi sono rotto le palle del politicamente corretto. Abbiamo perso il senso delle cose, la giusta misura, la ragione, il raziocinio.
Tutto deve essere omologato, carino, mai offensivo per le centomila sensibilità diverse, preconfezionato, rispettoso. E porgi l'altra guancia.

A volte, fa bene contare fino a cento e cercare di ragionare, mediare, tollerare.
Altre volte è preferibile la scorciatoia di un sano e liberatorio vaffanculo. Che è la libertà di esprimere le proprie opinioni, pagandone, al limite le conseguenze.
In questo mi ritengo da sempre politicamente scorretto e se necessario ti rompo il naso. E mai porgerò l'altra guancia.






UN BOLERO DI SOLITUDINE

 

Ti ho accompagnata davanti alla chiesa per la tua messa serale, io non entro, non credo negli dei creati dagli uomini. La piccola chiesa è di fronte al mare. Attraverso la strada e mi incammino lento sulla spiaggia in questo tardo tiepido pomeriggio di primavera. Non c'è nessuno, non è ancora stagione. Nessun fastidioso rumore umano. Mi siedo sulla sabbia davanti al mare. E' ancora calda, piacevole. E guardo il sole che sta tramontando nei miei pensieri, nella sua emozionante bellezza. Leggere onde si appoggiano sul bagnasciuga in un lento ritmo continuo. Il canto delle onde in una calda voce arancione di luce. Una tiepida brezza di mare ha preso il posto del vento di terra portandomi profumi di salsedine e di viaggi sognati. Una pennellata di acquerello col colore della malinconia mi carezza l’anima, come un bolero di solitudine profondo come il mare davanti a me. La saudade brasiliana che noi occidentali non riusciremo mai a capire. Ma non è tristezza, è anzi piacevole questa malinconia, perché davanti al mare io mi arrendo e lascio che mi ripulisca la mente dalle brutture di questo mondo. Prendo un pugno di sabbia e lo lascio scorrere tra le mie dita. Come la mia vita che scorre e che finirà, sono già un bel po’ avanti. Quanti granelli di sabbia ci sono in un pugno? la sabbia scorre lentamente. Vorrei contarli per gli anni che mi restano. Sono una clessidra di carne e ossa. Ogni granello un minuto della mia vita. Allora la mia vita fino ad adesso è composta da 34.689.600 granelli di sabbia. Sembrano tanti, poi guardo la spiaggia, quanti granelli di vita ci sono in questa spiaggia? Nel mio pugno di sabbia ci sono granelli di tristezza, di gioia, di amore, di errori, di esaltazione, di amicizia, di piacere, di lacrime e risate, di orrore e paure, di cose dette e non dette, di bugie e verità, di sbagli e cazzate, di sesso e amore, di scelte giuste anche se sofferte, di assenza di rimorsi e di rimpianti, di ricordi che come queste onde mi lambiscono il cuore. Di vita vissuta. Qualche gabbiano passa sopra di me veleggiando silenzioso nella brezza marina. Da dove vieni, dove vai? Quante sirene hai visto? Quanti capitani Achab? Il sole lento scende all’orizzonte, nella mente faccio partire una colonna sonora perfetta per questo momento che vorrei fermare per sempre. Un’istantanea di pace e gioia e consapevolezza. Di quanto mi sento piccolo e insignificante davanti a questa immensa poesia della natura. Fermati qui sole. Fermati adesso. Attraversami con questa luce dorata. Guarda il sorriso sulle mie labbra. Cosciente che sono dentro a una cornice, ma non sono la cornice. E che per essere quadro devo cercare i pennelli giusti ed i giusti colori. Voglio ubriacarmi col profumo del mare, stordito addormentarmi sotto una coperta di stelle con la luna che mi guarda benevola e materna e risvegliarmi su questa spiaggia col sole che rinasce e mi accarezza col suo calore. E riascoltare il canto delle onde in un altro bolero di solitudine. Così, per sempre. Fino al prossimo tramonto. Ma la messa è finita, i fedeli escono e tu mi stai aspettando. Il sole ormai è solo una sfumatura di colore. Mi pulisco la mano dalla sabbia della mia vita. E ti raggiungo, un bacio, ti prendo per mano. Stasera ho voglia di pizza e birra. Va bene così.




LA FOTOGRAFIA


Mi sono ricordato di averti dimenticata.
Ma oggi, aprendo un cassetto pieno di cose della vita raccolte, abbandonate e mai buttate via, mi è finita tra le mani una vecchia foto in bianco e nero con noi due. Eravamo giovani, io più di te di qualche anno. Io sorridevo anche se il mio cuore soffriva, tu inerte. Ero giovane e coglione, altrimenti non mi sarei innamorato di te.
Eri bella, non c’è dubbio, mi piacevi da morire e ti desideravo come solo un giovane con gli ormoni impazziti può desiderare. Tra l’altro scopavi malissimo, come se fossi in tanatosi, anorgasmica, ma ero innamorato, un vero coglione.
Volevi cambiarmi, cambiarmi il carattere, il modo di essere e di pensare, per plasmarmi al tuo ideale di uomo. Ma con me era impossibile anche se ci ho provato. Che coglione, ma ero innamorato.
Mi lasciavi almeno due volte al mese con le scuse più assurde “per mettermi alla prova” così mi dicesti, poi. Ed io soffrivo come un cane perché ero innamorato, che coglione.
Dopo un anno mi si è accesa la spia del troppo pieno, ho saturato. E con il cuore in briciole me ne sono andato, non ero più un coglione e mi ero disamorato.
Ci sei rimasta malissimo, perché pensavi di aver vinto.
E’ durato un attimo, ho buttato via la foto, ho chiuso il cassetto e mi sono dimenticato di averti ricordata.




DESERTO


Il vento. Vento caldo che mi attraversa
Sole che lentamente si adagia sulla sabbia
Dune, ininterrotte, infinite, sconfinate, eterne, estreme.
Dune tremanti di calore riflesso danzano ritmi ancestrali
Ondeggianti come onde di un immobile mare

Dune che seppelliscono i nostri antenati, coprono città dimenticate
Popoli che le hanno calpestate, scomparsi, ora sono solo sabbia
Distese di verde sconfinate che vivono ancora nelle leggende tuareg
Miraggi, un nulla fisico, esaltante e pericoloso, incantesimo senza fine

Deserto.
Io lo sento l’odore del deserto? Chiudo gli occhi e respiro lentamente
Forse non lo sentirò, i beduini ed i cammelli me lo possono raccontare
Ombre che si allungano, luce ambrata su colore ocra
Solo gli spiriti che si aggirano non hanno ombra, ma lamenti silenziosi

Deserto, infinito, onde su onde di estesa sterilità
Deserto, infinito, fino ad incontrarsi con il cielo
Dalle lontane pianure della Giudea fino al centro delle rocce del pendio dell'Attica
E poi ancora e ancora, un mantra di polvere
Mi sento schiacciato dal nulla, ed il vento caldo mi attraversa

La maestosità di un mondo atavico che mi chiede rispetto
Guardo l’orizzonte e mi arrendo
Il sole lentamente si nasconde dietro le dune
La mia ombra mi abbandona, tornerà domani, lo so

Mi stendo sulla sabbia ancora calda e guardo il cielo
Nel buio veloce un nuovo deserto fatto di inchiostro e di stelle come granelli di sabbia
Due deserti mi avvolgono, materni, due insaziabili amanti
Momenti di profonda commozione, comunione con l’esistere

Il vento si è placato
Adesso sono io il vento tra le dune.